Ho avuto modo di incontrare Mike Francis in occasione del giro promozionale per il suo ultimo lavoro "Francesco Innamorato", presso gli studi di Radio Dolomiti. L'impressione che ho avuto sul personaggio è quella di una persona poco propensa al divismo, molto disponibile a raccontare il proprio lavoro in ogni aspetto e le emozioni che stanno dietro alle sue idee musicali.
Francesco, come mai la scelta di andare a fare un disco a Londra?
Londra è ormai la mia seconda città, nel senso che vivo tra Roma e Londra da almeno 6 anni. In questo particolare caso, io ho cercato dei collaboratori musicali, e mi ha risposto un team composto da Richard Darbyshire (ex Living in a Box), Phil Chapman (fonico della vecchia guardia inglese), Elliot Randall, chitarrista di Donald Fagen, e Frank Musker (autore che ha scritto per Aretha Franklin, M. McDonald, Dionne Warwick); con loro ho lavorato più di un anno, facendo sia la pre-produzione che la produzione vera e propria. Da qui poi mi sono trasferito a Milano, lavorando insieme a Claudio Dentes e con la collaborazione della sezione ritmica di "Elio e le storie tese", ovvero Nicola Fasano e Christian Meyer; sui testi sono rimasto circa 6 mesi con Pasquale Panella, il quale mi ha dato una grandissima mano per trovare questo linguaggio un pò ermetico, cercato anche per smitizzare il fatto che in italiano si possano fare solo melodie melense.
Quanto ha influenzato la tua musica il risiedere in Inghilterra ?
Moltissimo; Londra secondo me è il centro della musica mondiale: tutte le nuove tendenze vengono da qui, molto di più che dagli Stati Uniti, dove le cose sono un pò ferme. Londra è poi una città che adoro, ho un sacco di amici, per cui sono di parte...
Uscirà la versione cantata in inglese dell'album?
Sì, si chiamerà "Francesco", ed è stata completata prima della versione italiana, anche se devo fare la promozione prima per quest'ultima. Conclusa tale fase, farò degli show anche all'estero, per promuovere questo album.
In che cosa è cambiata la tua musica rispetto agli anni '80?
In un certo senso si è semplificato il contenuto musicale a livello di composizione, anche se poi il risultato lo ritengo comunque raffinato. Il metodo di lavorazione è più lento e dispendioso; alla fine io sento una differenza di suoni notevole, fra questo e altri album. La mia è stata una scelta quella di curare moltissimo fin dall'inizio i suoni, e ho anche utilizzato molti più strumenti veri rispetto al passato.
Hai tratto qualcosa a livello personale dalla collaborazione con Mogol?
Con Mogol ho avuto una bellissima esperienza: nell'album "In Italiano" lui ha fatto i testi, e io la musica. Con Panella è diverso: Panella è una persona molto più vicina a me, era con me in studio a Milano tutti i giorni fino alle 4 del mattino; inoltre, ha scelto lui di collaborare con me.
Quindi "Francesco Innamorato" lo senti più tuo?
Certo, anzi, io mi immedesimo anche nei contenuti. Io raccontavo a Panella quello che volevo dire, lui magari lo cambiava, ci metteva del proprio, cambiavamo le parole dopo averle sentite cantate. Tutti e due eravamo comunque d'accordo su quanto volevamo fare, ovvero un disco con canzoni d'amore che parlassero di sentimenti ed emozioni, completamente mancante di malinconia, vittimismo e di finte speranze.
Quello che ci importava era cogliere dei momenti di passione, degli attimi che ti danno energia anche per le altre cose.
Quanta importanza ha la black music o altro tipo di musica nelle tue strutture musicali?
Il bagaglio culturale di chiunque si forma nell'adolescenza; io ho ascoltato moltissima musica della Motown, ma anche la west coast music americana, per esempio James Taylor, oppure i primi Earth,Wind & Fire, i Gentle Giant... Non so dirti con precisione, ma certamente vi sono delle cose nei ritmi, nelle melodie, legate a ciò che ho ascoltato.
A cura di Andrea Passerini